Casa Tanimoto, Tokyo

progetto
1985 - 1986
realizzazione
1985 - 1986
localizzazione
collaboratori

Elena Balsari Berrone (progettista del verde)

committenza

Tanimoto

descrizione
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Con la sua consueta e sottile ironia, è Magistretti in prima persona a raccontarci l'anima del progetto per la residenza della famiglia Tanimoto, che lo contattò per farsi costruire «una casa "occidentale" da un architetto italiano». Attraverso le sue parole, tratte dalla relazione di progetto, il ricordo dell'esperienza giapponese si lega però indissolubilmente a uno degli episodi più significativi della storia architettonica del secondo Novecento, in cui Magistretti fu protagonista insieme ad alcuni dei migliori talenti italiani dell'epoca della ricostruzione: «Il mio amico e maestro Ernesto Nathan Rogers - scrive infatti - mi chiamava il suo "primo allievo" perché ero stato cronologicamente il primo studente a cui aveva parlato "ex cathedra" […]. Dopo un po' di anni ho partecipato con Lui, Gardella e De Carlo all'ultimo congresso del C.I.A.M. a Otterlo-Olanda dove il Sacro Collegio, in questo caso del C.I.A.M. ci ha scomunicati perché avevamo osato utilizzare, nelle nostre architetture presentate, elementi legati all'architettura del paesaggio locale circostante. Nel mio caso, molto modestamente, le persiane alle finestre. Ricordo ancora lo scontro, le risate e anche la convinzione di andare per la nostra strada. Mi pare di ricordare che le riunioni del C.I.A.M. siano finite lì. Anche per questo la richiesta del signor Tanimoto mi colpì solamente come conferma di una supposta preminenza, anche in una cultura così raffinata, dell'immagine occidentale come "espressione del contemporaneo". E dopo una lunga seduta con marito e moglie, cominciai a progettare sapendo benissimo che mai sarebbe venuta una casa che avrei anche potuto fare, che so io, a Torino o a New York».

Così la casa si rivela un perfetto connubio tra istanze moderniste e tradizione giapponese, senza rinunciare alle peculiari caratteristiche dell'architettura di Magistretti: sorta su un terreno accidentato nel quartiere di Aoyoma, ne sfrutta i dislivelli per generare giochi volumetrici simili a quelli della casa Muggia a Barzana (1972-1973), nella bergamasca, o del "Roccolo" di Ello (1960-1962). Con l'esperienza comasca, in particolare, l'edificio nipponico condivide la scelta di renderne facilmente leggibile la complessità spaziale solo dal giardino, disegnato come già accaduto in varie occasioni da Elena Balsari Berrone. Sulla strada, al contrario, la casa si affaccia mediante un fronte sobrio e rigoroso in cui nota inattesa è il muro di cinta in granito locale, segnato da un andamento curvilineo e da un vassoio in rame (omaggio all'Imperial Hotel di Frank Lloyd Wright, demolito a Tokyo qualche anno prima) popolato da sfere di pietra, che dovrebbero richiamare l'immagine delle palle di cannone all'epoca raccolte in uno dei cortili del Castello Sforzesco di Milano. Alla tradizione locale si rifà invece la scelta delle finiture ad intonaco terranova in color cuoio, ispirata dall'attenta osservazione delle poche case tradizionali in legno e muratura sopravvissute alla modernizzazione di quest'area della città.

La ricchezza volumetrica del corpo di fabbrica si riflette in un'articolata spazialità interna, grazie anche a una galleria d'ingresso a doppia altezza, su cui affacciano zona pranzo (in continuità con office e cucina), sala tv e soggiorno, e che si conclude con una prospettiva sul paesaggio. Il pavimento in teak fa da sfondo a raffinate boiserie in betulla, che avvolgono in calde tonalità gli arredi della casa. In massima parte fabbricati da aziende italiane, i mobili - collezionati dalla famiglia Tanimoto come vere e proprie opere d'arte - includono alcune delle più riuscite espressioni del design di Magistretti: le foto d'epoca ci mostrano infatti un paesaggio domestico in cui sono perfettamente inseriti divani Cardigan e Veranda, tavoli Sindbad e Vidun, sedie Marocca e lampade Atollo e Pascal.

L'armonia che pervade gli spazi domestici non è però frutto di un fortunato connubio tra istanze culturali tanto lontane o di una talentuosa capacità di mixare arredi diversi, ma figlia di un disciplinato metodo progettuale che s'intuisce osservando la lunga sequenza di disegni elaborati: un continuo lavorio, che spinge Magistretti a sperimentare sulla carta un'infinità di soluzioni, alla ricerca di ciò che fa la differenza tra un buon progetto e una casa a misura d'uomo. Allora la pianta dell'abitazione diventa il campo di sperimentazione delle possibili articolazioni per il percorso della scala, le cui variazioni si riflettono prima sulla successione di stanze e poi su prospetti e viste tridimensionali, in cui viene accuratamente indagato il rapporto tra luce e ombra. Per giungere fino al dettaglio del prezioso cancello, che introduce il visitatore all'essenza di questa casa italo-giapponese.

categorie

architettura per la residenza, il terziario e i servizi

scheda a cura di Maria Manuela Leoni
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