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Conferire plasticità alla materia evitando i tecnicismi

Plasticità

Dall'iniziale uso del legno, nei Cinquanta, per dare forma alle prime soluzioni arredative Vico Magistretti passa con la complicità dei suoi committenti, come Ernesto Gismondi dell'allora Studio Artemide, a sperimentare con i nuovi materiali plastici ("Incontro con Vico Magistretti" in Cinquemattoni, 1973). L'approccio è inedito e fornito dall'immaginazione: al posto di partire da zero Magistretti intuisce la possibilità di lavorare "per sottrazione" da ciò che già c'è, e dall'osservazione di semplici vaschette stampate ricava l'idea dei tavolini Demetrio del 1966 ("Coerenza nel design di Vico Magistretti" in Domus, 1966)  affrontando con quel suo modo speciale il mondo della tecnologia delle materie plastiche come si evince da alcuni suoi appunti (Appunti manoscritti, 2004). Un metodo da cui ricaverà altre idee di matrice strutturale e al contempo di disegno, organico, come le eleganti poltroncine Gaudì  ("Magistretti: prosegue la serie dei sedili stampati" in Domus, 1970) e Vicario (Appunti sulla sedia Vicario, 1971) del 1971 in cui introdusse l'idea del buco rispetto a Selene (1969; Brevetto; Depliant Selene, Artemide, 1970). E dove la gamba rimane la stessa e i braccioli sono ottenuti bucando la scocca, mentre i punti critici risolti mediante ispessimenti del materiale; rispondendo così alla domanda su come ricavare con un solo colpo di stampo anche le gambe posteriori e l'impilabilità del pezzo. Rovesciare il materiale "come il dito di un guanto" è quanto mette in opera, in scala più ridotta, con la lampada da tavolo Dalù del 1966 dalla linea serpentinata che anticipa Eclisse (1967) e nasce dallo stampo di un unico foglio di materiale. Senza dimenticare che la lezione della plasticità può essere declinata anche negli altri materiali: dalla lampada Trial (2002) con diffusore conformato con tre avvallamenti e le "morbide" sedie in legno impilabili della collezione VicoDuo di Fritz Hansen del 1997.

Resistenza per forma

Trait d'union di alcune ricerche, soprattutto intorno ai mobili in plastica, è il tema di dare plasticità non solo attraverso il materiale ma anche interpretando correttamente la sua struttura, senza imposizioni di linguaggi altri ma ricavandola con l'intuizione ed eleganza. Per configurare la fortunata sedia Selene del 1969 (Depliant Selene e Stadio, Artemide) lavoro` con un preciso parametro: rendendosi conto di alcune ridotte resistenze che questo materiale ha rispetto ad altri (l'acciaio, il legno) e volendo evitare la configurazione massiccia per spessori e sezioni. «Non volevo - dichiarava il designer - fare una sedia da comporre con parti diverse, la volevo monoblocco; ne´ volevo fare una sedia come quella di Joe Colombo, che sembrava un elefante (...) Ho affrontato questo tema usando nella maniera piu` corretta possibile, credo, una tecnologia, pero` non facendomi ne´ condizionare, ne´ motivare dalla modernita` della tecnologia». Come fa notare Vanni Pasca (1999), Vico Magistretti con precisa intuizione statica, probabilmente derivata dalla sia formazione di architetto, risolve il problema della resistenza delle gambe "per forma", configurandole secondo una sezione a "S", già adottata nel 1966 per le gambe del tavolo in plastica Stadio ("È nata una sedia" in Ottagono, 1969), quindi nella lampada da terra Chimera del 1969 ("Un soggiorno" in Ottagono, 1970), dove ritorna l'applicazione dello stesso principio, dando una configurazione a serpentina a una lastra di metacrilato che rende così autoportante. Un piccolo miracolo che si ritrova in dettagli, non trascurabili, come il disegno della gamba del tavolo Blossom di De Padova del 2002, aperto a corolla, o nel "colpo di frusta" del tavolo in vetro Gemini di Fiam del 2006.

Invenzione costruttiva

Per Vico Magistretti spesso l'idea diventa tutt'uno con un processo tecnico-esecutivo, dove l'apparente gestualità nasconde in realtà un gesto consapevole frutto di grande osservazione e valide motivazioni anche dal punto di vista costruttivo. In Sindbad di Cassina del 1981, forse il più "iconico" tra gli oggetti del maestro, il punto è non tagliare e non cucire la coperta per adattarla alla poltrona, ma di lasciarla com'e`, di far si` che la coperta appaia in tutta la sua interezza e bellezza, ricavandone così la forma del pezzo (al di là del ready made ispirativo iniziale). Rimanendo in un campo caro al designer, quello dell'imbottito che sconfina nella tipologia del letto, portata avanti da una lunga e fruttuosa collaborazione con la Flou di Rosario Messina, Nathalie del 1978 ("Flou, tutte le metamorfosi del letto imbottito" in La Repubblica, 2000) rappresenta la sintesi dell'unione tra un morbido piumone e la testata di un letto tradizionale, creando la tipologia del "letto tessile" (Appunti su Nathalie), ovvero morbido, praticamente ancora una coperta "resa struttura". Nel letto Tadao del 1993 le doghe del materasso formano anche la testata dando luogo a un'inedita versione di accogliente panchina, attrezzata per la lettura notturna; così in Assam del 1998, ancora una volta, il fulcro visivo è costituito da un rullo in cuoio naturale, reclinabile, con funzione di poggiatesta a disegnare la testiera.


Rosa Chiesa e Ali Filippini

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